mag 11, 2022
Nel 2015 con l’approvazione dell’Agenda 2030, l’ONU ha individuato i Sustainable Developments Goals (SDGs), ovvero gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile. Si tratta di obiettivi atti ad orientare le politiche interne dei Paesi firmatari, al fine di delineare su cosa agire e in come farlo. Per tutti gli altri enti, incluse le imprese private, gli SGDs fungono da metriche comparabili, servono cioè a misurare i progressi raggiunti in ottica di sviluppo sostenibile e analizzare il proprio grado di sostenibilità.
Gli SDGs sono 169, raggruppati in 17 macro-obiettivi e l’Italia, insieme agli altri 192 Paesi che hanno scelto di contribuire all’Agenda 2030, si è messa in prima linea per attuare politiche e misure al fine di realizzare questi obiettivi di sostenibilità.
La prima definizione di sviluppo sostenibile si trova nel
Rapporto Brundtland
chiamato “Our Common Future” e recita:
Questo rapporto elaborato nel 1987, prende il nome da Gro Harlem Brundtland,
all’epoca prima ministra della Norvegia. Fu lei a guidare come presidente un gruppo di esperti internazionali di ambiente, politici e attivisti civili nella commissione
WCED (World Commission on Environment and Development) istituita nel 1983 dalle Nazioni Unite per approfondire i sempre più evidenti problemi ambientali, dalla riduzione dell’ozono al surriscaldamento globale, e studiare una strategia per affrontarli senza compromettere il benessere della popolazione globale.
Questo rapporto segna una rivoluzione già dal nome dato al rapporto: "Il nostro comune futur0". Per la prima volta infatti si comincia a parlare di
futuro e a comprendere come senza uno
sforzo comune di tutti, non sarebbe stato possibile averne uno.
Come già detto in precedenza, gli SDGs non rappresentano alcun obbligo per le imprese; non sono né un bollino da acquisire né una certificazione da ottenere. Allora perché un’azienda dovrebbe progettare il proprio futuro considerando gli obiettivi dell’Agenda 2030? Nel tessuto economico in cui viviamo, le aziende private sono il principale motore di sviluppo del paese e per questo i Paesi firmatari dell’Agenda 2030, se vogliono raggiungere gli obiettivi del programma, hanno bisogno della collaborazione delle imprese che caratterizzano il territorio di competenza.
Imprese, aziende, enti pubblici e organizzazioni sono oggi incentivate a produrre, proporre, costruire, agire in maniera sostenibile e integrata, per aumentare la loro redditività senza danneggiare l’ambiente e la società. Rifacendoci alle parole di Pasolini, è giunto il momento affinché tutti gli attori economici collaborino per trasformare lo “sviluppo” in “progresso”, ovvero comincino a cercare, oltre alla crescita economica, anche quella culturale, ambientale, sociale.
La parola sostenibilità ha origine da sostenere, ovvero parliamo di qualcosa che sostiene un’altra, da cui si declina l’aggettivo sostenibile, ovvero “ciò che si può sostenere e che può essere sostenuto”. Identificare l’oggetto da sostenere, è piuttosto facile: il pianeta terra e la natura che lo abita, di cui, non dovremmo dimenticarci, facciamo parte anche noi esseri umani. Quando invece analizziamo da cosa è sostenuta, il tema si fa più complesso. Dobbiamo immaginare la sostenibilità come un trepiedi sopra il quale la macchina fotografica è stabile solo se tutti tre i piedi sono perfettamente allineati alla stessa altezza. Se anche un solo piede vacilla o si rompe, ecco che la macchina fotografica crolla.
La risposta è sinteticamente espressa nell’acronimo ESG:
Nella teoria della Triple Bottom Line, elaborata da John Elkington negli anni ‘90, consulente e guru della sostenibilità, si afferma che l’organizzazione, per generare risultati e avere un vantaggio competitivo nel medio periodo, deve impostare la propria strategia d’impresa lavorando simultaneamente su tre variabili, le cosiddette 3P: Profitto, Pianeta e Persone:
Secondo questa strategia, le aziende devono concentrare la stessa attenzione sulle questioni sociali e ambientali quanto sulle questioni finanziarie, al fine di generare risultati duraturi e avere un sano sviluppo. Nel tempo però questo concetto è divenuto riduttivo e si sta facendo strada un strategia nuova che prenda in considerazione altri fattori determinanti per un vero progresso sostenibile.
In questa nuova visione si inserisce la strategia delle 5P: Pianeta e Persone, Prosperità, Pace, Partnership. Le due prime componenti rimangono uguali alla strategia 3P, mentre la componente Profitto viene sostituita da Prosperità.
Un concetto quindi molto diverso dal “profitto ad ogni costo”, quanto alla creazione di un valore nel lungo periodo per l’azienda e tutti gli stakeholders.
A queste prime 3 P si aggiungono due nuove 2:
Nel confrontarmi con le imprese mi capita spesso di osservare come il tema della sostenibilità, venga affrontato solo come soddisfacimento degli obblighi normativi o, nel migliore dei casi, come rincorsa al soddisfare una necessità inderogabile manifestata dai clienti. In entrambi i casi osservo una totale assenza di un approccio organico e di una visione strategica di lungo termine. È di lieve conforto sapere che lo scenario normativo sta virando velocemente verso una più ampia riconoscenza alle imprese illuminate, le quali partendo per prime a sviluppare una strategia innovativa di sostenibilità, avranno l’opportunità di aggiudicarsi un posizionamento vincente rispetto ai competitor e quindi maggior visibilità agli occhi degli stakeholder, con una conseguente ripercussione positiva sui ricavi. Inoltre non dimentichiamo che i fondi PNRR saranno aggiudicati a progetti di innovazione e sostenibilità, così come le nuove gare d’appalto per i lavori pubblici.
Insomma il mondo delle imprese sta cambiando velocemente e salire sul carro della sostenibilità non è più una scelta o un’imposizione di mercato; la sostenibilità è necessaria per la sopravvivenza dell’azienda.
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